Vescovo di Mira per ispirazione divina
Non sappiamo in quale anno S. Nicola fosse eletto vescovo di Mira, tuttavia questa elezione fa pensare che intorno al 290 Nicola si trasferisse a Mira. Alcuni agiografi recenti, aiutandosi con i dati della vita del monaco Nicola, raccontano come fu ordinato diacono e sacerdote e come si partì per Mira ove arcivescovo era un suo zio. E’ stato rilevato anche il suo desiderio di andare in una città ove non fosse conosciuto, come invece lo era a Patara dopo che il padre delle tre fanciulle aveva svelato il segreto della dote alle sue figlie. Ma in un caso come nell'altro i conti non tornano. Nel primo infatti siamo del tutto fuori strada, nel secondo siamo di fronte ad una supposizione senza la minima prova. Per cui non resta altro che accontentarsi del dato dello spostamento di Nicola da Patara a Mira. Tenendo conto poi del tempo che ci volle ai Miresi per imparare a conoscerlo e ad apprezzarlo possiamo immaginare tale spostamento avvenuto tra il 290 e il 295 e l'elezione episcopale intorno al 305, forse durante la persecuzione di Diocleziano.
Prima di fare altre riflessioni è opportuno riportare il racconto di Michele Archimandrita, che nella sostanza è ripetuto dagli agiografi posteriori:
Dopo che colui che era stato vescovo della chiesa di Mira, ritirandosi dalle preoccupazioni terrene, emigrò al Signore ed ottenne il giusto premio delle sue fatiche, tra i vescovi delle città vicine nacque una certa emulazione divinamente immessa. Lo stesso avveniva nell'ambito del clero fra i più degni di quella chiesa, per cercare un uomo degno agli occhi di Dio, che potesse succedere al defunto sulla cattedra e che in tutte le sue azioni non fosse inferiore a lui in santità. Uno di questi, divinamente ispirato, suggerì che dai vescovi dei dintorni si elevasse una preghiera, come del resto richiedeva la disciplina ecclesiastica. Il Signore, che soddisfa la volontà di coloro che lo temono e ascolta le loro suppliche, rivelò ad uno di loro chi fosse meravigliosamente destinato ad ottenere quell'episcopato. A costui così disse: «Recati con altri alla casa di Dio di notte; appostati nell'atrio e il primo che entrerà prendilo e fallo ordinare vescovo. Il suo nome è Nicola».
Colui che da Dio aveva udito quella mirabile voce andò a comunicarla agli altri vescovi e al popolo che si trovavano all’interno della chiesa ad innalzare continue preghiere a Dio. Quindi, obbedendo all'annuncio divino si andò a mettere presso l'uscita. Alle prime ore del mattino il grande Nicola venne mandato da Dio e fu il primo a varcare la soglia della chiesa. Prendendolo il vescovo gli chiese: «Figlio, come ti chiami?». Ed egli con voce semplice e mite rispose: «Signore, io sono il peccatore Nicola, servo di vostra eccellenza». Udito ciò e confuso per l'umiltà di quell'uomo giusto, il vescovo disse: «Figlio, vieni con me, devo spiegarti una cosa». E lo presentò agli altri vescovi coi quali aveva innalzato preghiere a Dio. Quelli, avendo fissato attentamente il santo uomo, glorificando l’onnipotente Iddio, lo condussero al centro della chiesa. Rivolgendosi alla folla di fedeli ivi convenuta e indicando l'uomo eletto da Dio, dissero: «Questi, o figli e fratelli, è colui che il Signore ha previsto e predestinato a ricoprire l'ufficio di vescovo in presenza di tutti noi e della vostra santissima chiesa».
Essendosi riuniti i cittadini della metropoli di Mira ed avendo ascoltato e creduto a quanto era stato detto dai vescovi amati da Dio, accolsero con gioia quanto riguardava il santo, anzi vi apportarono pure la loro testimonianza.
Così, colui che portava il nome di Nicola fu innalzato alla cattedra episcopale. Ed egli divenne ottimo pastore di quelle pecorelle ragionevoli di Cristo, dando per primo l'esempio. Il suo nome divenne così noto a tutti, e ispirato da Dio divenne la guida per coloro che richiedevano un degno interprete dello Spirito, e anche tra i sacri ministri annunciava in modo rigorosamente ortodosso il Vangelo della grazia. Era destinato dunque ad insegnare e ad adorare Dio Padre, il suo Verbo e Figlio unigenito il signore nostro Gesù, secondo la dottrina tramandata dagli apostoli, come pure l'eguale in potenza suo Spirito, complemento della consustanziale Trinità. Questo Dio si rivela in tre Persone individue dalla stessa gloria, che non vanno confuse a causa dell'identità della natura, quasi che i tre attributi fossero da ricondursi ad una sola Persona, come vorrebbe lo stolto Sabellio; né a causa delle tre ipostasi divine si deve concludere a favore di tre nature separate e di diverso genere, come vorrebbe l'esecrabile Ario. Così sentiva ed insegnava Nicola.
Un particolare balza subito agli occhi. L’agiografo non parla di un precedente stato clericale o monastico di Nicola. E vero che questo è un indizio puramente negativo, ma in considerazione del come si faceva emergere una cosa simile nelle biografie correnti, si tratta di una omissione significativa. Così dovette intenderla anche il grande canonista Graziano, a meno che, oltre questo indizio, non avesse avuto qualche altra fonte a noi ignota, allorché nel suo Decretum tratta dell'elezione dei vescovi. Nel capitolo VIII questo principe dei canonisti medioevali riporta la norma secondo la quale non si dovevano promuovere all'episcopato persone prive di preparazione intellettuale o comunque sprovveduti (rudibus et imperitis). Nel suo commento afferma poi che, in base agli autori menzionati, bisognava concludere che era proibito elevare i laici all'episcopato (His omnibus auctoritatibus laici prohibentur in episcopatum eligi). Ma subito aggiunge:
Tuttavia il beato Nicola fu eletto vescovo da laico, il beato Severo fu elevato all'arcivescovato mentre era addetto ad un lanificio, il beato Ambrogio, pur non essendo neppure battezzato, fu eletto arcivescovo. Si deve sapere però che le proibizioni ecclesiastiche hanno cause ben precise, che, se vengono meno, cessano anch'esse. La proibizione di eleggere a vescovi dei laici era motivata dal fatto che la vita laicale, non sufficientemente erudita nelle discipline ecclesiastiche, non può offrire agli altri gli esempi della religione che non ha imparato a sperimentare in sé stessa. Quando dunque un laico, grazie alla sua perfezione si eleva al di sopra della vita clericale, sull'esempio dei beati Nicola, Severo e Ambrogio, la sua elezione può essere considerata valida.
A comprova di quanto detto, al cap. IX Graziano riporta un passo di S. Ambrogio dall'epistola LXXXII che riguarda appunto la sua elezione da laico. Il grande vescovo di Milano affermava che gli occidentali approvarono la sua ordinazione esprimendosi favorevolmente, gli orientali l'approvavano avendo esempi analoghi (orientales etiam exemplo probarunt). Purtroppo S. Ambrogio non menziona nella sua lettera alcun vescovo orientale che fu eletto da laico. Se l'avesse fatto non è improbabile che dalla sua penna sarebbe uscito proprio il nome di Nicola.
Gli agiografi in tutti e tre questi casi di elezione dallo stato laicale sentirono il bisogno di una giustificazione divina ed inquadrarono la consacrazione a vescovo in una scelta divina. S. Ambrogio, ad esempio, era consolare a Milano alla morte del vescovo ariano Aussenzio (374). Il popolo della città e i vescovi della regione si radunarono per eleggere il successore, ma, a causa della divisione fra ariani e cattolici, non si giungeva ad alcuna conclusione. Intervenne Ambrogio, timoroso che il dissidio si ripercuotesse sulla tranquillità cittadina ed esortò alla pace. Ad un certo punto un fanciullo gridò: «Ambrogio vescovo!». Tutti ripeterono: «Ambrogio vescovo!», e il dissidio si placò. Evidentemente il biografo Paolino nella voce dell'innocente fanciullo vide un segno della volontà divina. In ogni caso, anche Rufino, che non menziona l'episodio del fanciullo, nella concorde volontà del popolo scorge la volontà divina. E nonostante il canone II di Nicea, che proibiva l'elezione a vescovo di un neofita, anche l'imperatore Valentiniano riconobbe la validità dell'elezione.
Nella leggenda nicolaiana il segno divino è ancora più evidente. Dio rivela ad uno dei vescovi chi sarà il nuovo vescovo di Myra: il primo che entrerà in chiesa al mattino, e aggiunge «il suo nome è Nicola». Anche nel caso di S. Nicola la disciplina ecclesiastica antica è ben conservata ed espressa, particolarmente per quanto riguarda il ruolo del popolo. Certo, il popolo, nella leggenda nicolaiana, ascolta la parola dei vescovi e apporta la sua testimonianza. Sembrerebbe cioè che svolga un ruolo alquanto passivo. Ma sotto la patina del linguaggio agiografico, come nel caso di Ambrogio e Severo, si scorge ciò che quasi certamente accadde: una elezione a voce di popolo. E come si è già detto, la comune e concorde voce del popolo era considerata l’espressione autentica della volontà di Dio.
Prima di fare altre riflessioni è opportuno riportare il racconto di Michele Archimandrita, che nella sostanza è ripetuto dagli agiografi posteriori:
Dopo che colui che era stato vescovo della chiesa di Mira, ritirandosi dalle preoccupazioni terrene, emigrò al Signore ed ottenne il giusto premio delle sue fatiche, tra i vescovi delle città vicine nacque una certa emulazione divinamente immessa. Lo stesso avveniva nell'ambito del clero fra i più degni di quella chiesa, per cercare un uomo degno agli occhi di Dio, che potesse succedere al defunto sulla cattedra e che in tutte le sue azioni non fosse inferiore a lui in santità. Uno di questi, divinamente ispirato, suggerì che dai vescovi dei dintorni si elevasse una preghiera, come del resto richiedeva la disciplina ecclesiastica. Il Signore, che soddisfa la volontà di coloro che lo temono e ascolta le loro suppliche, rivelò ad uno di loro chi fosse meravigliosamente destinato ad ottenere quell'episcopato. A costui così disse: «Recati con altri alla casa di Dio di notte; appostati nell'atrio e il primo che entrerà prendilo e fallo ordinare vescovo. Il suo nome è Nicola».
Colui che da Dio aveva udito quella mirabile voce andò a comunicarla agli altri vescovi e al popolo che si trovavano all’interno della chiesa ad innalzare continue preghiere a Dio. Quindi, obbedendo all'annuncio divino si andò a mettere presso l'uscita. Alle prime ore del mattino il grande Nicola venne mandato da Dio e fu il primo a varcare la soglia della chiesa. Prendendolo il vescovo gli chiese: «Figlio, come ti chiami?». Ed egli con voce semplice e mite rispose: «Signore, io sono il peccatore Nicola, servo di vostra eccellenza». Udito ciò e confuso per l'umiltà di quell'uomo giusto, il vescovo disse: «Figlio, vieni con me, devo spiegarti una cosa». E lo presentò agli altri vescovi coi quali aveva innalzato preghiere a Dio. Quelli, avendo fissato attentamente il santo uomo, glorificando l’onnipotente Iddio, lo condussero al centro della chiesa. Rivolgendosi alla folla di fedeli ivi convenuta e indicando l'uomo eletto da Dio, dissero: «Questi, o figli e fratelli, è colui che il Signore ha previsto e predestinato a ricoprire l'ufficio di vescovo in presenza di tutti noi e della vostra santissima chiesa».
Essendosi riuniti i cittadini della metropoli di Mira ed avendo ascoltato e creduto a quanto era stato detto dai vescovi amati da Dio, accolsero con gioia quanto riguardava il santo, anzi vi apportarono pure la loro testimonianza.
Così, colui che portava il nome di Nicola fu innalzato alla cattedra episcopale. Ed egli divenne ottimo pastore di quelle pecorelle ragionevoli di Cristo, dando per primo l'esempio. Il suo nome divenne così noto a tutti, e ispirato da Dio divenne la guida per coloro che richiedevano un degno interprete dello Spirito, e anche tra i sacri ministri annunciava in modo rigorosamente ortodosso il Vangelo della grazia. Era destinato dunque ad insegnare e ad adorare Dio Padre, il suo Verbo e Figlio unigenito il signore nostro Gesù, secondo la dottrina tramandata dagli apostoli, come pure l'eguale in potenza suo Spirito, complemento della consustanziale Trinità. Questo Dio si rivela in tre Persone individue dalla stessa gloria, che non vanno confuse a causa dell'identità della natura, quasi che i tre attributi fossero da ricondursi ad una sola Persona, come vorrebbe lo stolto Sabellio; né a causa delle tre ipostasi divine si deve concludere a favore di tre nature separate e di diverso genere, come vorrebbe l'esecrabile Ario. Così sentiva ed insegnava Nicola.
Un particolare balza subito agli occhi. L’agiografo non parla di un precedente stato clericale o monastico di Nicola. E vero che questo è un indizio puramente negativo, ma in considerazione del come si faceva emergere una cosa simile nelle biografie correnti, si tratta di una omissione significativa. Così dovette intenderla anche il grande canonista Graziano, a meno che, oltre questo indizio, non avesse avuto qualche altra fonte a noi ignota, allorché nel suo Decretum tratta dell'elezione dei vescovi. Nel capitolo VIII questo principe dei canonisti medioevali riporta la norma secondo la quale non si dovevano promuovere all'episcopato persone prive di preparazione intellettuale o comunque sprovveduti (rudibus et imperitis). Nel suo commento afferma poi che, in base agli autori menzionati, bisognava concludere che era proibito elevare i laici all'episcopato (His omnibus auctoritatibus laici prohibentur in episcopatum eligi). Ma subito aggiunge:
Tuttavia il beato Nicola fu eletto vescovo da laico, il beato Severo fu elevato all'arcivescovato mentre era addetto ad un lanificio, il beato Ambrogio, pur non essendo neppure battezzato, fu eletto arcivescovo. Si deve sapere però che le proibizioni ecclesiastiche hanno cause ben precise, che, se vengono meno, cessano anch'esse. La proibizione di eleggere a vescovi dei laici era motivata dal fatto che la vita laicale, non sufficientemente erudita nelle discipline ecclesiastiche, non può offrire agli altri gli esempi della religione che non ha imparato a sperimentare in sé stessa. Quando dunque un laico, grazie alla sua perfezione si eleva al di sopra della vita clericale, sull'esempio dei beati Nicola, Severo e Ambrogio, la sua elezione può essere considerata valida.
A comprova di quanto detto, al cap. IX Graziano riporta un passo di S. Ambrogio dall'epistola LXXXII che riguarda appunto la sua elezione da laico. Il grande vescovo di Milano affermava che gli occidentali approvarono la sua ordinazione esprimendosi favorevolmente, gli orientali l'approvavano avendo esempi analoghi (orientales etiam exemplo probarunt). Purtroppo S. Ambrogio non menziona nella sua lettera alcun vescovo orientale che fu eletto da laico. Se l'avesse fatto non è improbabile che dalla sua penna sarebbe uscito proprio il nome di Nicola.
Gli agiografi in tutti e tre questi casi di elezione dallo stato laicale sentirono il bisogno di una giustificazione divina ed inquadrarono la consacrazione a vescovo in una scelta divina. S. Ambrogio, ad esempio, era consolare a Milano alla morte del vescovo ariano Aussenzio (374). Il popolo della città e i vescovi della regione si radunarono per eleggere il successore, ma, a causa della divisione fra ariani e cattolici, non si giungeva ad alcuna conclusione. Intervenne Ambrogio, timoroso che il dissidio si ripercuotesse sulla tranquillità cittadina ed esortò alla pace. Ad un certo punto un fanciullo gridò: «Ambrogio vescovo!». Tutti ripeterono: «Ambrogio vescovo!», e il dissidio si placò. Evidentemente il biografo Paolino nella voce dell'innocente fanciullo vide un segno della volontà divina. In ogni caso, anche Rufino, che non menziona l'episodio del fanciullo, nella concorde volontà del popolo scorge la volontà divina. E nonostante il canone II di Nicea, che proibiva l'elezione a vescovo di un neofita, anche l'imperatore Valentiniano riconobbe la validità dell'elezione.
Nella leggenda nicolaiana il segno divino è ancora più evidente. Dio rivela ad uno dei vescovi chi sarà il nuovo vescovo di Myra: il primo che entrerà in chiesa al mattino, e aggiunge «il suo nome è Nicola». Anche nel caso di S. Nicola la disciplina ecclesiastica antica è ben conservata ed espressa, particolarmente per quanto riguarda il ruolo del popolo. Certo, il popolo, nella leggenda nicolaiana, ascolta la parola dei vescovi e apporta la sua testimonianza. Sembrerebbe cioè che svolga un ruolo alquanto passivo. Ma sotto la patina del linguaggio agiografico, come nel caso di Ambrogio e Severo, si scorge ciò che quasi certamente accadde: una elezione a voce di popolo. E come si è già detto, la comune e concorde voce del popolo era considerata l’espressione autentica della volontà di Dio.
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