La comunità rinasce in S. Francesco di Paola (1819)
La dispersione dei frati, soprattutto nei primi anni della soppressione, fu un vero e proprio dramma umano. La maggior parte dei frati si ritirò presso le loro famiglie, dalle quali furono mantenuti prima che il governo prevedesse un sussidio anche per loro. I più fortunati furono cooptati dai vescovi o per aiutare in qualche parrocchia o per insegnare nei seminari. Qualcuno riuscì, grazie all’impegno di qualche confraternita a servire nella chiesa che era stata dei domenicani. Tutto era comunque provvisorio e segnato dalla precarietà.
La caduta del governo francese fece rinascere le speranze. Il 25 luglio 1815, il maestro generale Pio G. Gaddi scrisse da Roma confermando provvisoriamente come provinciale di Puglia p. Tommaso de Jacobellis, ultimo provinciale al momento della soppressione, dando alcune istruzioni sull’apertura dei conventi [1]. In realtà bisognò attendere quasi altri tre anni per sbloccare la situazione.
L’attesa per il ventilato Concordato fra Stato e Chiesa fu snervante. Finalmente il 16 febbraio 1818 Pio VII e Ferdinando I di Napoli lo promulgavano. Per la parte relativa agli ordini religiosi il Concordato recitava:
Le attuali ristrette circostanze economiche del Patrimonio Regolare non alienato e trovato da sua Maestà al suo ritorno, nell’amministrazione del così detto Demanio, non permettendo di ripristinare tutte le Case religiose dell’uno e dell’altro sesso; le medesime verranno ripristinate in quel maggior numero, che sia compatibile coi mezzi di dotazione, e specialmente le case di quegli Istituti che sono addette alla Istruzione della gioventù nella Religione e nelle Lettere, alla cura degli infermi ed alla Predicazione[2].
Il ripristino dei conventi domenicani fu particolarmente difficoltoso proprio per la loro natura. Infatti, la “filosofia” che aveva guidato la nascita dei conventi era stata quella (ove possibile) della centralità urbanistica sia ai fini della predicazione che del dialogo culturale. Di conseguenza i conventi domenicani erano quasi sempre i più appetibili da parte della cittadinanza. Le municipalità dunque, appena avevano saputo della soppressione, si erano affrettate ad impossessarsi dei conventi ed a trasformarli in sede dei comuni, o comunque importanti edifici civici.
Il ritorno dei frati fu perciò molto amaro, un po’ come chi ritorna a casa, ma la casa non c’è più. E’ stata spazzata via da un terremoto.
L’8 gennaio 1819 il maestro generale Pio G. Gaddi scrisse al provinciale di Puglia De Jacobellis sul rispristino dei conventi, aggiungendo di ringraziare gli arcivescovi di Bari e Otranto per il loro interessamento al ritorno dei frati. Poco meno di quattro mesi dopo, il 30 aprile, scriveva nuovamente al De Jacobellis esprimendo la sua gioia per l’apertura di Bari e la scelta del p. Domenico Chiarolla come presidente, in attesa di passare alle norme comuni dell’ordine.
R. Padre, Ringrazio Vostra Paternità della consolante notizia che mi dona del ripristinamento del convento di Bari ed approvo la scelta del p. L. fr. Domenico Chiarolla in presidente dello stesso.
Per tutti i conventi che si stabiliranno deve subito deputare uno dei religiosi che gode maggiore stima presso i suoi confratelli e che sia in opinione appresso i vescovi ed i magistrati, e sia uomo prudente, dotto e di ottimi costumi. Questi lo stabilirà presidente provvisorio ed appena saranno formate le famiglie e adunati i religiosi, ognuna passerà all'elezione canonica del superiore e si eleggeranno quindi tutti gli altri impiegati a norma delle nostre sante leggi.
Procuri sopra tutto che ogni cosa si faccia in regola e secondo lo spirito delle nostre leggi, non avendo in vista che il bene della religione, il servizio di Dio e dei popoli e sopratutto si dia tutto il pensiero di svellere il funesto spirito di dominare che è cagione di tanti mali e di lamentele agli Ordini regolari.
Per il Concordato, Sua Maestà accorda la facoltà di vestire ed appena saranno ristaurati i conventi si penserà al noviziato.[3]
Naturalmente altro era l’annuncio altro la effettiva riapertura. Al loro ritorno i frati trovarono che il loro convento era stato ormai trasformato in Palazzo dell’Intendenza. Ci volle ancora un po’ di tempo per individuare la nuova sede. La scelta cadde sulla chiesa di S. Francesco da Paola, in considerazione del fatto che i minimi o Paolotti erano fra i numerosi ordini che non fecero ritorno a Bari.
La chiesa risaliva ai primi anni del XVII secolo, e viene menzionata già dal Beatillo nel 1637. Così la descrive il Garruba proprio negli anni in cui i frati avevano preso possesso:
I Domenicani non riebbero il convento antico, che fu convertito a Palazzo dell’Intendenza; fdurono bensì allogati in quello di San Francesco di Paola, ove attualmente si trovano. La famiglia religiosa adempie a’ doveri impostile dalla Regola, e mantiene con decenza il culto del tempio veramente magnifico dedicato al Gran Taumaturgo da Paola, ch’è frequentato con divozione dai nostri concittadini. Sono d’ammirarsi in questa chiesa le dipinture della volta, e specialmente un pregiatissimo Sottinsù del Patriarca, parto del pennello riputatissimo dell’anzidetto Miglionico[4].
Per sentirsi davvero a casa loro i frati dovettero attendere fino al 10 maggio 1820, quando giunse il relativo decreto regio.
Quando morì il 4 gennaio 1822 il provinciale di Puglia De Jacobellis venne così ricordato: La morte repentina del padre maestro provinciale De Jacobellis sortita la notte del dì 4 del corrente mese nel convento di Bari, ha reso questa comunità e la provincia intiera afflitta per aver perduto la Religione un zelante ripristinatore del nostro Ordine in questa provincia [5].
La caduta del governo francese fece rinascere le speranze. Il 25 luglio 1815, il maestro generale Pio G. Gaddi scrisse da Roma confermando provvisoriamente come provinciale di Puglia p. Tommaso de Jacobellis, ultimo provinciale al momento della soppressione, dando alcune istruzioni sull’apertura dei conventi [1]. In realtà bisognò attendere quasi altri tre anni per sbloccare la situazione.
L’attesa per il ventilato Concordato fra Stato e Chiesa fu snervante. Finalmente il 16 febbraio 1818 Pio VII e Ferdinando I di Napoli lo promulgavano. Per la parte relativa agli ordini religiosi il Concordato recitava:
Le attuali ristrette circostanze economiche del Patrimonio Regolare non alienato e trovato da sua Maestà al suo ritorno, nell’amministrazione del così detto Demanio, non permettendo di ripristinare tutte le Case religiose dell’uno e dell’altro sesso; le medesime verranno ripristinate in quel maggior numero, che sia compatibile coi mezzi di dotazione, e specialmente le case di quegli Istituti che sono addette alla Istruzione della gioventù nella Religione e nelle Lettere, alla cura degli infermi ed alla Predicazione[2].
Il ripristino dei conventi domenicani fu particolarmente difficoltoso proprio per la loro natura. Infatti, la “filosofia” che aveva guidato la nascita dei conventi era stata quella (ove possibile) della centralità urbanistica sia ai fini della predicazione che del dialogo culturale. Di conseguenza i conventi domenicani erano quasi sempre i più appetibili da parte della cittadinanza. Le municipalità dunque, appena avevano saputo della soppressione, si erano affrettate ad impossessarsi dei conventi ed a trasformarli in sede dei comuni, o comunque importanti edifici civici.
Il ritorno dei frati fu perciò molto amaro, un po’ come chi ritorna a casa, ma la casa non c’è più. E’ stata spazzata via da un terremoto.
L’8 gennaio 1819 il maestro generale Pio G. Gaddi scrisse al provinciale di Puglia De Jacobellis sul rispristino dei conventi, aggiungendo di ringraziare gli arcivescovi di Bari e Otranto per il loro interessamento al ritorno dei frati. Poco meno di quattro mesi dopo, il 30 aprile, scriveva nuovamente al De Jacobellis esprimendo la sua gioia per l’apertura di Bari e la scelta del p. Domenico Chiarolla come presidente, in attesa di passare alle norme comuni dell’ordine.
R. Padre, Ringrazio Vostra Paternità della consolante notizia che mi dona del ripristinamento del convento di Bari ed approvo la scelta del p. L. fr. Domenico Chiarolla in presidente dello stesso.
Per tutti i conventi che si stabiliranno deve subito deputare uno dei religiosi che gode maggiore stima presso i suoi confratelli e che sia in opinione appresso i vescovi ed i magistrati, e sia uomo prudente, dotto e di ottimi costumi. Questi lo stabilirà presidente provvisorio ed appena saranno formate le famiglie e adunati i religiosi, ognuna passerà all'elezione canonica del superiore e si eleggeranno quindi tutti gli altri impiegati a norma delle nostre sante leggi.
Procuri sopra tutto che ogni cosa si faccia in regola e secondo lo spirito delle nostre leggi, non avendo in vista che il bene della religione, il servizio di Dio e dei popoli e sopratutto si dia tutto il pensiero di svellere il funesto spirito di dominare che è cagione di tanti mali e di lamentele agli Ordini regolari.
Per il Concordato, Sua Maestà accorda la facoltà di vestire ed appena saranno ristaurati i conventi si penserà al noviziato.[3]
Naturalmente altro era l’annuncio altro la effettiva riapertura. Al loro ritorno i frati trovarono che il loro convento era stato ormai trasformato in Palazzo dell’Intendenza. Ci volle ancora un po’ di tempo per individuare la nuova sede. La scelta cadde sulla chiesa di S. Francesco da Paola, in considerazione del fatto che i minimi o Paolotti erano fra i numerosi ordini che non fecero ritorno a Bari.
La chiesa risaliva ai primi anni del XVII secolo, e viene menzionata già dal Beatillo nel 1637. Così la descrive il Garruba proprio negli anni in cui i frati avevano preso possesso:
I Domenicani non riebbero il convento antico, che fu convertito a Palazzo dell’Intendenza; fdurono bensì allogati in quello di San Francesco di Paola, ove attualmente si trovano. La famiglia religiosa adempie a’ doveri impostile dalla Regola, e mantiene con decenza il culto del tempio veramente magnifico dedicato al Gran Taumaturgo da Paola, ch’è frequentato con divozione dai nostri concittadini. Sono d’ammirarsi in questa chiesa le dipinture della volta, e specialmente un pregiatissimo Sottinsù del Patriarca, parto del pennello riputatissimo dell’anzidetto Miglionico[4].
Per sentirsi davvero a casa loro i frati dovettero attendere fino al 10 maggio 1820, quando giunse il relativo decreto regio.
Quando morì il 4 gennaio 1822 il provinciale di Puglia De Jacobellis venne così ricordato: La morte repentina del padre maestro provinciale De Jacobellis sortita la notte del dì 4 del corrente mese nel convento di Bari, ha reso questa comunità e la provincia intiera afflitta per aver perduto la Religione un zelante ripristinatore del nostro Ordine in questa provincia [5].
[1] AGOP IV, 262, f. 78; Esposito, I Domenicani in Puglia, p. 337.
[2] Il testo in Raccolta di Concordati su materie ecclesiastiche tra Santa Sede e le autorità civili, Roma 1919, pp. 620-637
[3] AGOP IV, 265, f. 49; Esposito, I Domenicani in Puglia e in Basilicata, Napoli Bari 1998, p. 340
[4] Cfr. Michele Garruba, Serie critica de’ sacri Pastori baresi, Bari 1844, pp. 573-574.
[5] AGOP XIII, 22.
Newsletter
Iscriviti gratuitamente per ricevere le nostre news.
Iscriviti gratuitamente per ricevere le nostre news.
![]() |
© 2018, BASILICA PONTIFICIA DI SAN NICOLA - BARI -
Privacy -
Informativa Cookie
|
![]() |